Insegnare, come giocare. Di Teresita Possidente

inclusione scolastica dei disabili

La dimensione del gioco rappresenta una chiave importantissima per la motivazione all’apprendimento infantile. Eraclito definiva il tempo, come un gioco giocato splendidamente dai bambini e forse proprio qui si ritrova il senso di questa affascinante mediazione simbolica del giocare, come strumento per imparare.

Il tempo del bambino è quello del riempire la propria valigia del diventare grandi, con scoperte guidate anche dal fare giocando, un processo che nella bellezza e nel piacere dello sperimentare, attraverso la fantasia, apre la via maestra del comprendere, del conoscere.

Lo stesso vale per la pratica didattica, dove per il bambino, a partire dalla scuola dell’Infanzia, avvicinarsi alla conoscenza dovrebbe significare sentirsi parte viva del suo apprendimento, dove nel cantare e mimare una canzone sull’autunno c’è lo scoprirne i colori, i frutti, le proprie caratteristiche; così come nel giocare a “Un, due, tre stella” c’è la possibilità di affinare le competenze motorie, rispettare le regole, vivere la bellezza del condividere un’esperienza. Maria Montessori guardava all’emozionare, come al filtro più intenso e prezioso per insegnare, dove il divertirsi è il motore dell’imparare.

Il laboratorio, la creatività, il gioco è quello spazio che la nostra scuola dovrebbe sempre ricordare di accompagnare all’esperienza didattica, come espressione di una fiamma che sa accendere i cuori dei bambini, alleggerendo la piccola grande fatica che sentirebbero nell’essere posti di fronte ad un “compito”.

Nella dimensione fantastica abita la viva leggerezza dell’attraversare orizzonti di conoscenza, planando leggeri sui fiori del sapere. Gianni Rodari scriveva magistralmente: “Vale la pena che un bambino impari piangendo, quello che può imparare ridendo?”

Nella spiegazione delle addizioni sarebbe bello far contare i biscotti; nella lezione sul rispetto dell’ambiente, forse sarebbe meglio far piantare un seme e incaricare ogni bambino di aver cura della sua piantina. Un modo di fare scuola che rende visibili i concetti, che fa giocare con i pensieri e fa toccare le idee.

Un approccio che rispetta gli stili di apprendimento di ogni bambino, che rende più fruibili ed esperienziali i momenti della didattica, dove chi ha più bisogno di sperimentare viene incluso in una esperienza che coinvolge tutti. Questa è la bellezza del fare scuola, toccando il cuore dei nostri alunni, facendoli sentire parte del processo di insegnamento apprendimento attraverso ciò che più sanno e amano fare: giocare.

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