Esempio di progetto per favorire l’inclusione, titolo: Mettersi in gioco

inclusione scolastica dei disabili

Il progetto: premessa

Il progetto “Mettersi in gioco”, che ho elaborato e proposto per la classe in cui ho svolto il tirocinio diretto, è un progetto di “Attività motoria”.
Il progetto è stato presentato all’inizio dell’anno scolastico e approvato dal Collegio docenti.
L’idea mi è venuta dopo aver seguito le lezioni teoriche e pratiche della prof.ssa Portello nell’ambito del corso di specializzazione per le attività di sostegno per docenti in esubero.
Tali lezioni sono state fonte di arricchimento personale, riflessione e anche di divertimento, nonché fonte di ispirazione di questo progetto.
Come io ho potuto apprezzare i contenuti teorici ed i laboratori proposti, così spero sia successo per i miei alunni.
Poiché Federico (nome di fantasia) presenta evidenti problemi relazionali e non ha una buona consapevolezza del suo corpo e del suo movimento nello spazio, ho pensato che un’attività come quella proposta potesse fargli superare comportamenti e situazioni tristemente consolidate e spingere tutti i componenti della classe a “mettersi in gioco”.

Articolazione del percorso

Il progetto si è sviluppato in dodici ore, quattro ore di lezione teorica ed otto di laboratorio, da svolgersi nelle ore di educazione fisica, per un lasso di tempo di circa un mese e mezzo, con interventi settimanali di due ore ciascuno.
Gli insegnanti coinvolti in tale progetto sono stati quello di educazione fisica e l’insegnante di sostegno.
Le lezioni teoriche si sono svolte in classe, i laboratori nella palestra della scuola.
La parte teorica si è focalizzata sull’analisi e la riflessione di concetti relativi alla comunicazione, al linguaggio non verbale e alla relazione con gli altri.
La parte pratica è consistita in attività volte a sperimentare e giocare al fine di sensibilizzarsi all’ascolto mediante le tecniche a valenza percettiva, dialogare con il corpo utilizzando le tecniche a valenza educativa e di rispecchiamento, trasferire i contenuti teorici in attività ludiche, allenare il processo creativo con tecniche a valenza esplorativa.
L’attività proposta all’intera classe ha suscitato subito curiosità e interesse.
Anche Federico, inizialmente diffidente, si è subito rilassato, forse coinvolto dall’atteggiamento positivo e propositivo dei compagni.
La parte teorica, l’ho tratta utilizzando la LIM, in modo tale da attirare l’attenzione degli alunni con tecnologie più accattivanti rispetto alla classica lezione frontale.
Ho affrontato come primo argomento, nell’ambito della cinesica, la postura cioè la posizione che il corpo assume.
Ho mostrato ai ragazzi immagini con posture corrette e altre scorrete, alcuni di loro si sono riconosciuti in quelle scorrette e si sono impegnati, per lo meno verbalmente, a correggerle.
Ho proiettato immagini “curiose” di persone e animali relative all’espressione del volto, dello sguardo, dei movimenti del tronco, degli arti e dei gesti.
Nella seconda lezione ho parlato della prossemica, la disciplina che studia lo spazio all’interno della comunicazione, sia verbale sia non verbale.
I ragazzi sono stati subito catturati dall’idea della “bolla invisibile”, o cinesfera che circonda ognuno di noi e che è influenzata dall’età, dal sesso, dalle caratteristiche psicologiche individuali e che si estende, si contrae e si sposta in relazione a noi stessi.
Anche Federico ha immaginato la sua bolla invisibile e l’ha definita grande…
I ragazzi hanno subito capito che le bolle immaginarie si modificano in base alle situazioni e sono riconducibili a quattro zone, la zona intima, la zona personale, la zona sociale, e la zona pubblica.
Il punto nodale, oggetto di discussione è stato come raggiungere una “comunicazione efficace”.
Tutti hanno concordato che il corpo, la relazione, la consapevolezza e le parole sono le componenti per una comunicazione efficace.
I laboratori pratici si sono svolti tutti nella palestra della scuola.
Il primo obiettivo è stato diventare consapevoli del proprio corpo: consapevoli della propria respirazione, delle proprie tensioni muscolari, del proprio schema corporeo, della propria postura.
Federico si presenta come una persona “tesa” psicologicamente, e questa sua tensione viene avvertita anche a livello corporeo, soprattutto nei momenti in cui è sotto pressione come ad esempio durante le verifiche dove manifesta muscoli contratti, respirazione veloce e poco profonda, postura rigida e ingessata.
Con gli esercizi proposti è riuscito a rilassare il proprio tono muscolare, ritrovando una respirazione più profonda e meno frammentata e, attraverso la consapevolezza corporea è stato in grado di rimuovere le tensioni interiori.
Nei successivi laboratori l’obiettivo è stato quello di relazionarsi con gli altri.
Sicuramente hanno divertito e affascinato tutti le tecniche di rispecchiamento, consistenti nell’assumere la postura speculare a chi ci sta di fronte, innescando così una sintonia. Queste tecniche, che hanno lo scopo di creare con l’interlocutore un rapporto empatico, basato sulla fiducia e sulla sintonia emotiva, è come se si dicesse all’altro: “sono simile a te”.
Interessante è stato pure il gioco in cui a coppie, a ruoli alterni, i ragazzi dovevano guidare e successivamente farsi guidare dal compagno mantenendo gli occhi chiusi: l’idea di fondo era quella di avere fiducia nell’altro, cosa che a Federico non succede mai, in quanto è sempre prevenuto. In quel caso, invece, si è rilassato emotivamente, si è lasciato guidare e ha guidato, come tutti gli altri.
Nell’ultima parte del laboratorio i ragazzi hanno creato insieme dei passi di danza, da eseguire tutti insieme, seguendo un ritmo musicale.
Alla fine dei laboratori tutti i ragazzi hanno espresso le loro riflessioni e considerazioni personali.
Da tali discussioni è emerso come, inizialmente e per tutti, sia stato difficile approcciarsi ai compagni per affrontare gli esercizi e mettersi in gioco.
Per Federico è stato soprattutto più difficile raffrontarsi con persone con le quali i rapporti sono generalmente più conflittuali.
E’ stato comunque interessante notare come all’inizio il comportamento della maggior parte del gruppo fosse impacciato e condizionato dal timore di osare ma, man mano che il tempo passava, il clima si è disteso, rilassato e ha lascito spazio alla voglia di condividere insieme un’esperienza sicuramente diversa, per raggiungere un obiettivo comune e condiviso: la conoscenza di se stessi e degli altri.
La lezione ha fornito anche diversi spunti di riflessione ai ragazzi, dalla discussione è emerso che il nostro corpo, i movimenti che facciamo, gli atteggiamenti che assumiamo rivelano molte cose di noi, anche quello che in realtà vogliamo tacere a chi ci sta davanti e anzi, soprattutto quello che vogliamo tacere, spesso emerge in modo prepotente ed evidente e tanto più vogliamo mascherarlo, tanto più riaffiora.
La nostra parte più emotiva a volte ci tradisce e ci rende incoerenti con quello che stiamo dicendo.
Un altro motivo di riflessione importante è stato quello relativo alle dinamiche di classe. Troppo spesso non si è disposti ad ascoltare per i più disparati motivi o non si ascolta con la dovuta attenzione per mancanza di tempo, di voglia, disinteresse, per superficialità o preconcetti.
Per queste mancanze si può essere fraintesi e non capiti e un dialogo superficiale può sfuggire dal controllo e diventare uno strumento difficile da gestire, come spesso è successo in questa classe.
I rimedi proposti, condivisi e recepiti dai ragazzi sono stati il dialogo, il confronto, l’ascolto e soprattutto il mettersi dal punto di vista dell’altro in modo da riuscire a trovare una mediazione rispetto a posizioni differenti.

Conclusioni

Credo che il progetto che ho proposto sia servito, sia agli alunni sia a me; gli obiettivi sono stati raggiunti e penso di aver lasciato loro qualcosa di positivo e di profondo su cui riflettere.
Ritengo sia servito soprattutto per quanto riguarda l’approccio con gli altri, partendo da se stessi.
Per quanto mi riguarda, l’attività di tirocinio è stata molto proficua, troppo spesso noi insegnanti abbiamo come obiettivo prioritario quello di “attenerci e finire il programma”, senza preoccuparci di altri aspetti ugualmente importanti quali la comunicazione, la relazione con gli altri, la conoscenza del nostro corpo.
Dalle mie osservazioni ho infatti notato dinamiche della classe difficilmente percepibili con i tempi “ridotti” di una lezione tradizionale. Per capire a fondo certi comportamenti, bisogna essere capaci di “cambiare il proprio punto di vista”, senza avere fretta di arrivare a conclusioni precipitose e dando importanza anche alle “emozioni”.
Una persona con disabilità, inoltre, necessita di una logica di “reti di sostegni”, ma per lavorare in “rete” è fondamentale la circolazione delle informazioni in modo rapido e snello, tra tutte le persone coinvolte insegnanti, educatori, collaboratori scolastici, assistenti, mediatori specializzati, psicologi, genitori e parenti, al fine di attuare l’inclusione della persona, analizzando e identificando i suoi bisogni e monitorando in modo continuo la situazione relativa al progetto di inclusione.
La figura dell’insegnante di sostegno è sicuramente una figura importante che deve possedere non solo conoscenze specifiche, ma anche abilità relazionali e competenze interculturali, non ci si può dunque improvvisare insegnanti di sostegno come troppo spesso purtroppo accade.
L’aggiornamento è indispensabile e deve essere continuo. Le prime persone che sarebbero penalizzate se ciò non avvenisse, sarebbero proprio loro, “i nostri ragazzi”.
Il corso di riconversione con i suoi insegnamenti, i laboratori e il tirocinio è stato, dunque, motivo di arricchimento personale e professionale.
Ringrazio quindi tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione di questo corso e che mi hanno permesso di essere una insegnante migliore.

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