DSA e condizioni socio-educativi sfavorevoli

l'immagine degli studenti con dsa

La scuola negli ultimi anni, ha cercato di prendere in considerazione il problema del recupero degli alunni con evidenti difficoltà di apprendimento derivanti in molti casi da condizioni socio-educativi sfavorevoli. Tuttavia, questa volontà di inserimento ha creato in alcuni insegnanti un senso di disorientamento. Alcuni dopo le prime frustrazioni hanno manifestato sentimenti opposti e ambivalenti, ovvero hanno attribuito una importanza totale o totale disinteresse affettivo nei confronti del problema.
Queste dinamiche di fondamentale impegno, insieme ai sentimenti che tutti noi proviamo nei confronti di un alunno in evidente difficoltà, sono per lo più reazioni fisiologiche che possono avere effetti contraddittori, sia sull’operatore che sull’utente ovvero possono sia favorire che frenare sia il miglioramento sia il senso di potenza dell’operatore.  Infatti, si tende spesso a fissarlo in posizioni di dipendenza ovvero a svilupparsi all’interno di rigidi e limitati confini simbiotici e lo si scoraggia.
L’analisi transazionale ci invita ad interrogarci, e ad estrapolare una riflessione approfondita su noi stessi, ci insegna a diventare più  responsabili, a rispettare i nostri sentimenti e quelli degli altri, ci permette di capire le difficoltà avvertite nel corso della  comunicazione con  gli altri. La psicologia della simbiosi ci apre la strada alla comprensione dell’incapacità dell’individuo ad essere una persona completa da solo. Questi individui hanno un costante bisogno della presenza vicino a se di un’altra persona, reale o psicologica, per essere completi.
Nel campo scolastico questo lo si può certamente osservare negli insegnanti che conoscono bene i loro discenti e che con alcuni, ritenuti fragili, prendono delle precauzioni moderando i giudizi e le valutazioni, mentre sono più rigorosi  verso quei ragazzi che considerano ben corazzati. Tuttavia, analizzando l’aspetto fondamentale della relazione alunno-docente dal punto di vista di quest’ultimo, si può evidenziare come nei confronti degli alunni in difficoltà spesso si manifestano due fenomeni importanti quali la svalutazione e la passività.
Nel caso della svalutazione Berne ci mette in guardia su quattro possibili tipologie dal più innocuo al più disfunzionale:
•    astensione e senso d’impotenza
•    l’iperadattamento
•    l’agitazione, il sovraccaricamento, l’iperattività
•    l’incapacità, la violazione o l’aggressività.
Queste condizioni conducono l’insegnate a quattro situazioni paradossali:
1.    L’insegnante che rifiuta qualsiasi contatto con l’alunno.
2.    L’insegnante che afferma a fine anno scolastico “c’è l’ho messa tutta ma non ci sono riuscita”.
3.    Gli insegnanti che scatenano la propria rabbia contro le istituzioni, le famiglie, ect. liberandosi da ogni responsabilità addossandola agli altri.
La svalutazione è quindi un meccanismo che scatena la simbiosi e porta all’esagerazione dei fatti. E’ da ribadire che è esagerazione piuttosto ottimistica è la sopravvalutazione mentre la minimizzazione è una esagerazione di stampo pessimistico.
In tale prospettiva i giochi proposti sono certamente fondamentali poiché “Il gioco psicologico è una serie di transazioni ulteriori ripetitive a cui fa seguito un colpo di scena con uno scambio di ruoli, un senso di confusione accompagnato da uno stato d’animo spiacevole come tornaconto finale, in termini di rinforzo di convinzioni negative su di sé, sugli altri, sul mondo.”
Il colpo di scena è fondamentale in quanto fa emergere il messaggio psicologico nascosto invertendo i ruoli: chi era accogliente e comprensivo può diventare rifiutante, chi si mostrava richiedente di attenzione può diventare aggressivo e rifiutante. Ed in questo momento che chi partecipa al gioco evidenzia a se stesso la disfunzionalità della propria comunicazione.
Questo mutare dei ruoli determina un forte senso di confusione, di smarrimento (“Ma cosa succede?”) e stati d’animo negativi (tristezza, rabbia, paura, senso di inadeguatezza e di depressione,ecc.) che rinforzano precise convinzioni, altrettanto negative, su se stessi, sugli altri, sul mondo ( “E’ proprio vero, degli altri non ci si può fidare!…ecc.”). Ciò costituisce il tornaconto del gioco.
Tirando le somme le attività proposte nel percorso di studio ci indirizzano verso una maggiore consapevolezza ed ad una serie di principi da seguire per evitare la nascita di questo tipo di relazione disfunzionale:
1) Prestare attenzione a quale autonomia può realisticamente raggiungere l’aluuno, ovvero evitare di ipotizzare l’autonomia da perseguire in base alle nostre aspettative o desideri.
2) Essere consapevoli che lavorando con l’alunno siamo responsabili solo delle procedure che attiviamo, dell’atteggiamento umano che vi implichiamo, e saremo valutati solo per questo, ovvero non siamo in discussione come persone nella nostra totalità e non dobbiamo permettere né a noi stessi né ad altri di trascendere da questa regola.
3) Un alunno che va bene non è un mezzo per acquisire importanza o status, viceversa un alunno che va male non è un motivo di disistima.
4) Nessuno è depositario di verità assolute, i colleghi non sono coloro a cui scaricare la patata bollente o da perseguire per gli insuccessi, ovvero ognuno collabora in funzione delle proprie competenze.
In pratica interrogarci su come stiamo “usando”  l’alunno, i colleghi e la famiglia in modo da: -migliorare e consolidare le nostre abilità;- strutturare al meglio le nostre competenze e  proporci in modo sempre più professionale, non solo difronte all’alunno, ma difronte alla famiglia e alle istituzioni che nella fattispecie rappresentiamo.

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